martedì 23 maggio 2017

PARLAMENTARE CHE SI "VENDE" UNA LEGGE? NON E' PROCESSABILE. ECCO LA VERGOGNOSA SCOPERTA


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“I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e di voti dati nell’esercizio” recita l’articolo 68 della Costituzione. Ed è per questo che un parlamentare italiano che viene pagato, a suon di bonifici grazie a triangolazioni societarie, non può essere processato per corruzione. È l’Espresso che racconta il caso giudiziario dell’ex deputato Udc Luca Volontè, elevato a emblema del vuoto normativo che assilla molti pubblici ministeri e in particolare il procuratore capo di Milano Francesco Greco dai tempi di Tangentopoli quando le bustarelle milionarie intascate dai politici dovevano essere contestate come finanziamento illecito.


Il giudice per l’udienza di Milano, Giulio Fanales, di fronte ai 21 bonifici per un totale di 2 milioni e 390mila euro per aver garantito mentre era a Strasburgo le posizioni dell’Azerbaijan in materia di diritti civili, non ha potuto fare niente altro che emettere sentenza di non luogo a procedere per corruzione e rinviare a giudizio per il solo riciclaggio l’imputato. La questione è semplice; il politico (fino al 2013) godeva dello scudo dell’immunità garantita a chiunque sieda sulle poltrone di uno dei due rami del Parlamento e in Italia non è possibile indagare su nessuna attività dei parlamentari, perché vanno considerate insindacabili. Il proscioglimento è automatico.
Rappresentante italiano al Consiglio d’Europa, per i pm Elio Ramondini e Adriano Scudieri, Volontè avrebbe sfruttato il suo ruolo di capogruppo dei popolari europei per convincere altri parlamentari a votare contro il rapporto Strassaer sulle condizioni degli 85 prigionieri politici nella repubblica caucasica, a vantaggio del governo azero (3 gennaio 2013, con 128 voti contro 79). Poco importa che il comportamento contestato dalla Procura di Milano vìoli anche la Risoluzione 1903 adottata dal Consiglio d’Europa il 4 ottobre 2012 che vieta ai membri dell’assemblea parlamentare di accettare compensi, premi o riconoscimenti per il sostegno o l’opposizione di mozioni, rapporti, emendamenti et cetera. Per l’accusa Volontè avrebbe intascato la mazzetta dal politico Elkhan Suleymanov, suo collega nell’Assemblea parlamentare, “da un collaboratore di questi, tale Muslum Mammadov, e da “altri soggetti politici azeri non meglio identificati”. Affinché asservisse “la propria funzione pubblica” ai loro interessi e a quelli del “governo dell’Azerbaijan”. Ma essendo quella funzione insindacabile il politico non è processabile.

“Tutte le condotte addebitate, dunque – spiega il giudice nelle motivazioni depositate il 10 febbraio scorso che contesta nelle more ‘l’assoluta genericità’ della parte finale del capo di imputazione – ricadono all’interno del perimetro del divieto di sindacato giurisdizionale. Risultando precluso il sindacato giurisdizionale, pare impossibile attribuire a qualsiasi condotta di cui sopra il significato di una manifestazione dell’asservimento della funzione pubblica all’interesse privatistico. L’impedimento – chiosa il giudice – in ragione dell’immunità alla verifica processuale dell’asservimento della pubblica funzione rende inutile la celebrazione del dibattimento“.
L’insindacabilità del potere in Italia è una questione più vecchia di quello che si pensa. Come si può leggere nel libro di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato, Il ritorno del Principe. La criminalità dei potenti in Italia (edito da Chiare Lettere). È storia che lo scandalo della Banca Romana (1892) – tra falsi, furti, corruzioni e cambiali firmate da nomi illustri del Regno –  finì in nulla di fatto: deputati, ministri ed ex ministri  – compreso Giolitti – non erano sindacabili e gli imputati furono assolti.  Un finale molto diverso da un altro scandalo storico, ma contemporaneo a quello italiano, quello per l’autorizzazione del prestito a Panama per il canale. Gli uomini politici francesi imputati per aver ricevuto denaro per votare l’autorizzazione furono condannati.

Dal passato lontano al presente recentissimo nulla cambia in Italia. La sentenza di Milano potrebbe avere delle ripercussioni su altre inchieste in cui il politico di turno – in passato ci sono state anche archiviazioni come nel caso Ciancimino-Romano – manovra con leggi, emendamenti o altro a favore di privati. La prima indagine che potrebbe essere intaccata da questo verdetto – che comunque la procura di Milano ha deciso di impugnare – è quella dei pm Palermo in cui è indagata per corruzione la senatrice Simona Vicari (Ap) che ha lasciato la poltrona da sottosegretario alle Infrastrutture. Per i pm Vicari avrebbe introdotto un emendamento legislativo che abbassava l’Iva sui trasporti marittimi facendo risparmiare milioni all’armatore Ettore Morace anche lui indagato per corruzione. E in cambio la senatrice che avrebbe avuto un Rolex dall’imprenditore. Orologi che, come scrive il Fatto Quotidiano, compaiono e scompaiono da tempo dai polsi dei politici italiani. Ma il processo è inutile per bustarelle milionarie figuriamoci per un po’ di metallo prezioso benché griffato. Mentre la bufera scatenata dall’inchiesta Eni in Basilicata sull’allora ministro Federica Guidi per l’emendamento Tempa Rossa è solo un ricordo: il compagno è stato archiviato.

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